Classico Latino: Cesare (superiori)

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Classico Latino: Cesare (superiori)
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Busto di Gaio Giulio Cesare.

Gaio Giulio Cesare nasce a Roma il 13 luglio 101 a.C. o 12 luglio 100 a.C. Ebbe un ruolo cruciale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Fu dictator di Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 a.C., nel 46 a.C. con carica decennale e dal 44 a.C. come dittatore perpetuo, e per questo ritenuto da Svetonio il primo dei dodici Cesari, in seguito sinonimo di imperatore romano. Con la conquista della Gallia estese il dominio della res publica romana fino all'oceano Atlantico e al Reno; portò gli eserciti romani a invadere per la prima volta la Britannia e la Germania e a combattere in Spagna, Grecia, Egitto, Ponto e Africa. Il primo triumvirato, l'accordo privato per la spartizione del potere con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, segnò l'inizio della sua ascesa. Dopo la morte di Crasso (Carre, 53 a.C.), Cesare si scontrò con Pompeo e la fazione degli Optimates per il controllo dello stato. Nel 49 a.C., di ritorno dalla Gallia, guidò le sue legioni attraverso il Rubicone, pronunciando le celebri parole «Alea iacta est», e scatenò la guerra civile, con la quale divenne capo indiscusso di Roma: sconfisse Pompeo a Farsalo (48 a.C.) e successivamente gli altri Optimates, tra cui Catone Uticense, in Africa e in Spagna. Con l'assunzione della dittatura a vita diede inizio a un processo di radicale riforma della società e del governo, riorganizzando e centralizzando la burocrazia repubblicana. Il suo operato provocò la reazione dei conservatori, finché un gruppo di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e Decimo Bruto, cospirò contro di lui uccidendolo, alle Idi di marzo del 44 a.C. (15 marzo 44). Nel 42 a.C., appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato lo deificò ufficialmente, elevandolo a divinità. L'eredità riformatrice e storica di Cesare fu quindi raccolta da Ottaviano Augusto, suo pronipote e figlio adottivo. Le campagne militari e le azioni politiche di Cesare sono da lui stesso dettagliatamente raccontate nei Commentarii de bello Gallico e nei Commentarii de bello civili. Numerose notizie sulla sua vita sono presenti negli scritti di Appiano di Alessandria, Svetonio, Plutarco, Cassio Dione e Strabone. Altre informazioni possono essere rintracciate nelle opere di autori suoi contemporanei, come nelle lettere e nelle orazioni del suo rivale politico Cicerone, nelle poesie di Catullo e negli scritti storici di Sallustio.

De bello Gallico[modifica]

Il De bello Gallico di Giulio Cesare in un'edizione del 1783

Il De bello Gallico (in latino "Sulla guerra gallica") è lo scritto sicuramente più conosciuto di Gaio Giulio Cesare, generale, politico e scrittore romano del I secolo a.C. In origine, era probabilmente intitolato C. Iulii Caesaris commentarii rerum gestarum, mentre il titolo con cui è oggi noto è un'aggiunta successiva, finalizzata a distinguere questi resoconti da quelli degli eventi successivi. Cesare visse in prima persona tutte le vicende riguardanti la conquista della Gallia. Uomo di grande cultura, appassionato di arte e filosofia, descrisse minuziosamente la sua campagna militare, inserendo nella narrazione molte curiosità sugli usi e sui costumi delle tribù barbariche con cui veniva a contatto, oltre a tentare, nello stesso tempo, di difendere il proprio operato. Non si potrà dunque ritenerla un'opera davvero rigorosa dal punto di vista storico, proprio perché in parte autobiografica, anche se l'aspetto stilisticamente semplice (e perfino talora volutamente trasandato) potrebbe far pensare a una raccolta di burocratici rapporti al Senato.

Struttura dell'opera

L'opera è stata scritta fra il 58 e il 50 a.C. e si divide in otto libri:

Libro primo:

  • Descrizione geografica della Gallia;
  • Guerra di Elvezia;
  • Guerra contro Ariovisto e i Germani.

Libro secondo:

  • Congiura dei Belgi e rispettiva guerra;
  • Publio Licinio Crasso respinge le città dei Galli;
  • Riappacificazione della Gallia

Libro terzo:

  • Guerra sulle Alpi;
  • Guerra contro i Veneti;
  • Guerra contro gli Unelli;
  • Crasso in Aquitania.

Libro quarto:

  • Guerra contro gli Usipeti e i Tencteri;
  • Assalto contro i Germani;
  • Prima spedizione in Britannia;
  • Ribellione dei Morini e dei Menapi.

Libro quinto:

  • Seconda spedizione in Britannia;
  • Guerra contro Ambiorige;
  • Ribellione dei Treviri.

Libro sesto:

  • Il grande spostamento delle truppe galliche;
  • Spedizione contro gli Suebi;
  • Descrizione dei costumi, della cultura e delle tradizioni Galliche e Germaniche;
  • Guerra contro gli Eburoni.

Libro settimo:

  • Vercingetorige si autoproclama capo degli Alverni;
  • Assedio ad Avarico;
  • Vercingetorige e gli Edui attaccano i Romani;
  • Battaglia di Alesia

Libro ottavo: l'ottavo libro non è stato scritto da Cesare, ma da Aulo Irzio e narra degli eventi collaterali e successivi alla guerra guidata da Cesare; in particolare le ultime spedizioni per sedare gli ultimi focolai.

Caratteristiche dell'opera

Il De bello Gallico fu redatto da Cesare in terza persona, come diario di guerra, con l'intento di conferire una patina di oggettività e di difendere la propria persona e la propria condotta politico-militare, osteggiata a Roma da gran parte del senato. L'ambizione e le capacità politiche del condottiero erano, infatti, eccezionali e assai temute da una corporazione politica, indebolita dal volgere degli eventi e dai mali di sempre: corruzione, interesse personale nell'attività pubblica e vendette tra fazioni. Oltre alla terza persona, una caratteristica dello stile di Cesare è l'uso della "oratio obliqua" ovvero del discorso indiretto per ottenere uno stile più uniforme e privo degli artifici dell'arte oratoria. Cesare ricorse spesso a temi di riferimento ideologico: Fortuna, Clementia, Iustitia e Celeritas. Si trattava di veri e propri slogan politici, parole d'ordine celebrative che sarebbero state utilizzate in seguito anche nella guerra civile da lui condotta contro Pompeo. Con particolare insistenza Cesare celebrava Fortuna, la dea del fato che aveva nelle mani il destino di ogni esercito. Il merito della vittoria e del successo era dunque nient'altro che derivato dal favore della sorte e di conseguenza anche simbolo di protezione divina. È ancora oggetto di studi la rielaborazione dei numerosi materiali raccolti da Cesare durante la sua impresa in Gallia. Alcuni storici ipotizzano che sia avvenuta di anno in anno, rispecchiando la divisione finale in 8 libri, altri invece sostengono che Cesare abbia preferito un'unica grande stesura a distanza di tempo.

Contesto storico

L'azione si svolge a partire dall'anno in cui Cesare, governatore delle Gallie e dell'Illiria, si trova a dover fronteggiare la decisione presa dalle quattro principali tribù elvetiche, dimoranti in diverse regioni nell'odierna Svizzera, di divenire nomadi a causa di difficoltà contingenti. Cesare contrasta tale iniziativa per proteggere dai saccheggi la Gallia Narbonense, già dominata da Roma, e le popolazioni vicine, indipendenti, ma alleate di Roma. Tuttavia, il problema posto dagli Elvezi è solo la punta di un iceberg: dal nord-est, alle due rive del Reno, le incursioni dei popoli germanici rendono inquieta la vita delle popolazioni della Gallia Transalpina. Dalla lontana Britannia (l'odierna Inghilterra, sulle cui coste i Romani fino a quel tempo non erano mai sbarcati se non forse per sporadici contatti commerciali), giungono rinforzi alle tribù ostili a Roma. Ben presto la guerra dilaga in focolai che costringono il governatore a spostare di continuo il campo di battaglia e gli consentono di farsi prorogare il mandato, ciò che non gli dispiace affatto, dato che la guerra era, allora come oggi, un'opportunità per il vincitore. Cesare non mancò certo né di fiducia in sé stesso né di coraggio, e tanto meno di curiosità sufficiente a fargli sperimentare nuovi sistemi di battaglia, a parlamentare con il capo dei temuti e sconosciuti Germani, a raccogliere informazioni geografiche ed etnografiche sui territori che doveva affrontare, tanto che alla fine non indietreggiò neppure davanti alla necessità di sbarcare con un esercito nella sconosciuta Britannia. Il fantasma della guerra alle porte di Roma, con il quale l'aristocrazia romana aveva giocato fin dai tempi della prima Repubblica (si vedano gli scritti di Livio a proposito delle chiamate alle armi nelle guerre contro gli Edui), viene ora usato da Cesare contro l'aristocrazia stessa. In molte pagine dei Commentarii si riesce ad intuire un certo tono di divertimento, nel condurre il gioco intellettuale del ricatto contro gli uomini del Senato che da Roma potrebbero stroncarlo ma non riescono neppure a contrastarne le decisioni con una semplice revoca del mandato, contro i falsi amici che lo hanno seguito per meritarne la benevolenza senza avere il coraggio di seguirlo fino in fondo nelle sue decisioni. Si avverte la tensione vibrante dei momenti decisivi, resa tollerabile dall'atteggiamento razionale, di chi vuol conoscere il nemico, la sua personalità, i suoi mezzi tecnici, le sue abitudini e i punti di forza per evitare passi falsi. La fortuna e l'organizzazione poderosa dell'esercito romano fanno il resto, e alla fine della lunga campagna la Gallia è completamente sottomessa a Roma. Dopo la battaglia di Alesia la resistenza dei Galli Transalpini è ridotta a disperati focolai di rivolta che vengono soffocati con una durezza ignota alle precedenti fasi belliche. La conquista della Gallia costò in tutta la campagna militare ben due milioni di vittime fra gli indigeni. La battaglia di Alesia è per secoli rimasta una pagina di strategia militare esemplare per il modo con cui venne condotto l'assedio, per la sorprendente opera di fortificazione fatta eseguire attorno alla città sacra della Gallia indipendente da Roma.

Cap. I, 1[modifica]

Cesare descrive i vari popoli della Gallia (Belgi, Aquitani, Celti o Galli) e ne definisce la collocazione geografica. Presenta poi gli Elvezi, i cui spostamenti provocano il suo intervento. Questo capitolo abbonda di nomi, perché Cesare delimita con precisione i territori dei vari gruppi etnici, cose che poteva conoscere con tanta esattezza soltanto alla fine delle operazioni militari, il che induce a ritenere questo capitolo come una introduzione "a posteriori".

Testo in Latino[modifica]

1. Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. 2. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. 3. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt. 4. Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. 5. Eorum una, pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum, vergit ad septentriones. 6. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur, pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. 7. Aquitania a Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani quae est ad Hispaniam pertinet; spectat inter occasum solis et septentriones.

Traduzione in Italiano[modifica]

1. La Gallia è, nel suo complesso, divisa in tre parti: la prima la abitano i Belgi, l'altra gli Aquitani, la terza quelli che nella loro lingua prendono il nome di Celti, nella nostra, di Galli. 2. I tre popoli differiscono tra loro per lingua, istituzioni e leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna li separano dai Belgi. 3. Tra i vari popoli i più forti sono i Belgi, ed eccone i motivi: sono lontanissimi dalla finezza e dalla civiltà della nostra provincia; i mercanti, con i quali hanno scarsissimi contatti, portano ben pochi fra i prodotti che tendono a indebolire gli animi; confinano con i Germani d'oltre Reno e con essi sono continuamente in guerra. 4. Anche gli Elvezi superano in valore gli altri Galli per la stessa ragione: combattono con i Germani quasi ogni giorno, o per tenerli lontani dai propri territori o per attaccarli nei loro. 5. La parte in cui, come si è detto, risiedono i Galli, inizia dal Rodano, è delimitata dalla Garonna, dall'Oceano, dai territori dei Belgi, raggiunge anche il Reno dalla parte dei Sequani e degli Elvezi, è volta a settentrione. 6. La parte dei Belgi inizia dalle più lontane regioni della Gallia, si estende fino al corso inferiore del Reno, guarda a settentrione e a oriente. 7. L'Aquitania, invece, va dalla Garonna fino ai Pirenei e alla parte dell'Oceano che bagna la Spagna, è volta a occidente e a settentrione.

Analisi del Testo[modifica]

1.

Gallia: Cesare allude alla parte della Gallia (Transalpina o Ulteriore) non ancora romanizzata.

Omnis: Ci saremmo aspettati tota ma omnis rende bene l'idea di unità compositiva infatti è costituita da Belgi, Aquitani e Celti o Galli.

Est... divisa: Est è copula mentre divisa è il participio aggettivale con valore di predicato nominale.

Belgae: I Belgi che abitavano la parte tra l'Oceano (Mar del Nord) e il Reno.

Aquitani: Gli Aquitani che abitavano la parte meridionale compresa tra Pirenei e il fiume Garonna.

Celtae: I Celti abitavano la parte centrale della Gallia.

Lingua: Ablativo di mezzo.

2.

Lingua, institutis, legibus: Ablativo di limitazione uniti per asindeto.

Garumma: Il fiume Garonna nasce dai Pirenei e sfocia nell'Oceano Atlantico.

Matrona et Sequana: La Matrona che è un affluente della Senna e vi confluisce presso Parigi.

3.

Cultu atque humanitate: Endiadi.

Provinciae: Cesare allude alla Gallia Transalpina (o Gallia Narbonensis), oggi Provenza, provincia romana già dal 118 a.C..

Minimeque... saepe: Litote.

Commeant: Soggetto è mercatores.

Ad effeminandos animos: Ad + gerundivo con valore finale.

4.

Helvetii: Gruppo etnico dei Celti che occupavano i territori corrispondenti alla Svizzera. I loro spostamenti in cerca di nuovi territori più ricchi e meno affollati provocheranno l'intervento di Cesare e la sua prima campagna in Gallia descritta nel primo libro del De bello Gallivo.

Virtute: Ablativo limitativo.

Quod: Causale.

Cum: Temporale.

Suis finibus: Ablativo di allontanamente.

Prohibent: Presente con valore conativo.

5.

Eorum: Cesare si riferisce ai popoli citati prima (Belgi, Aquitani e Celti). Usa spesso il nome degli abitanti per indicare i paesi.

Quam... dictum est: Gallos obtinere è la soggettiva dell'impersonale dictum est.

6.

Orientem solem: È il levante.

7.

Quae... ad Hispaniam: Nel senso che bagna le coste spagnole.

Inter... septentriones: Occasum solis è occidente. Septentriones è settentrione. Il combinato indica verso nord-est.

Cap. I, 2[modifica]

Un rappresentante della nobiltà elvetica, Orgetorige, descritto come uomo ambizioso e avido di potere, convince gli Elvezi ad una emigrazione di massa, adducendo come motivo la particolarità morfologica dei luoghi e come finalità la sottomissione di tutta la Gallia: troppo limitati risultavano i confini in rapporto alla loro popolazione e alle loro capacità.

Testo in Latino[modifica]

1. Apud Helvetios longe nobilissimus fuit et ditissimus Orgetorix. 2. Is M. Messala, [et P.] M. Pisone consulibus regni cupiditate inductus coniurationem nobilitatis fecit et civitati persuasit ut de finibus suis cum omnibus copiis exirent: perfacile esse, cum virtute omnibus praestarent, totius Galliae imperio potiri. 3. Id hoc facilius iis persuasit, quod undique loci natura Helvetii continentur: una ex parte flumine Rheno latissimo atque altissimo, qui agrum Helvetium a Germanis dividit; altera ex parte monte Iura altissimo, qui est inter Sequanos et Helvetios; tertia lacu Lemanno et flumine Rhodano, qui provinciam nostram ab Helvetiis dividit. 4. His rebus fiebat ut et minus late vagarentur et minus facile finitimis bellum inferre possent; qua ex parte homines bellandi cupidi magno dolore adficiebantur. 5. Pro multitudine autem hominum et pro gloria belli atque fortitudinis angustos se fines habere arbitrabantur, qui in longitudinem milia passuum CCXL, in latitudinem CLXXX patebant.

Traduzione in Italiano[modifica]

1. Tra gli Elvezi il più nobile e il più ricco in assoluto fu Orgetorige. 2. Costui, al tempo del consolato di M. Messala e M. Pisone, mosso dal desiderio di regnare, spinse i nobili a fare lega e convinse il popolo a emigrare in massa: sosteneva che avrebbero potuto impadronirsi dell'intera Gallia con estrema facilità, poiché erano più forti di tutti. 3. Li persuase più facilmente perché, da ogni parte, gli Elvezi sono bloccati dalla conformazione naturale della regione: da un lato sono chiusi dal Reno, fiume assai largo e profondo, che divide le loro terre dai Germani; dall'altro incombe su di essi il Giura, un monte altissimo, al confine tra Elvezi e Sequani; dal terzo lato sono chiusi dal lago Lemano e dal Rodano, che li separa dalla nostra provincia. 4. Ne conseguiva che potevano compiere solo brevi spostamenti e attaccare i popoli limitrofi con maggiore difficoltà. Sotto questo aspetto gli Elvezi, gente con la voglia di combattere, erano profondamente scontenti. 5. Inoltre, mi rapporto al loro numero e alla gloria della loro potenza militare, ritenevano di possedere territori troppo piccoli, che si estendevano per duecentoquaranta miglia in lunghezza e centottanta in larghezza.

Analisi del Testo[modifica]

1.

Longe: È rafforzativo dei due superlativi.

Fuit: Meglio tradurlo con l'imperfetto.

2.

M. Messala... consolibus: I Romani per indicare l'anno in sui si verificavano certi eventi usavano i nomi dei due consoli in questo caso M. Messalla e M. Pisone furono consoli nel 61 a.C..

Civitati: Gli Elvezi ed è dativo retto da persuasit.

Prefacile esse: Proprosizione dipendente da un sottinteso dixit o dallo stesso persuasit.

Virtute: Ablativo di limitazione.

Potiri: Regge l'ablativo imperio ("potere").

3.

Id... persuasit: Id è accusativo retto da persuasit da cui dipende anche eis. Persuadeo infatti soprattutto quando la cosa è costituita da un pronome neutro (nel caso id) usa questo costrutto con l'accusativo della cosa e il dativo della persona.

Hoc: È prolettico di quod ed è un ablativo.

Facilius: È comparativo assoluto.

Undique... continentur: È la particolare morfologia del luogo.

Flumine: L'ablativo è retto da continentur come i successivi monte... e lacu....

Tertia: Sott. parte.

Lacu Lemanno: È l'ordierno lago di Ginevra.

4.

Fiebat ut: Ut regge sia vagarentur che possent e introduce quindi due preposizione completive correlative.

5.

Belli atque fortitudinis: Endiadi. Tradurre come se fosse fortitudinis in bello.

Angustos... habere: È una proposizione oggettiva retta da arbitrabantur ("ritenevano") verbo che indica chiaramente il valroe soggettivo di tal giudizio.

Qui: Riferito a fines.

In longiutudinem: Complemento di direzione come il successivo in latitudinem.

Milia... CCXL: Complemento di estensione, come il successivo CLXXX (sott. milia). Ricorda: passus = m. 1,478, per cui il territorio degli Elvezi era di Km. 354,720 x Km. 266,040 = Km2. 94.369.

De bello civili[modifica]

Ritratto ottocentesco di Cesare

Il De bello civili ("La guerra civile"), da non confondere con il Bellum civile o Pharsalia di Lucano, è la seconda opera di Gaio Giulio Cesare conservatasi. È composto da tre libri o Commentarii e descrive gli avvenimenti degli anni 49 — 48 a.C.; le tempistiche della stesura sono tuttora dibattute, così come quelle della pubblicazione, le ipotesi più accreditate sono le seguenti: stesura e pubblicazione contemporanee ai fatti narrati o immediatamente successive; stesura e pubblicazione nel 45; stesura in una delle date di cui sopra e pubblicazione ad opera del cesariano Aulo Irzio poco dopo la morte del dittatore nel 44. Nel 49 a.C. Cesare ambiva alla carica di console; la legge (anche se ampiamente disattesa altre volte) non gli permetteva di candidarsi in absentia. Doveva essere presente a Roma e lo poteva fare solo in qualità di privato cittadino (e quindi avrebbe dovuto abbandonare la Gallia Cisalpina e le sue legioni); d'altra parte se avesse avuto l'ardire di presentarsi sarebbe caduto sotto i colpi non solo politici di Pompeo che si era nuovamente alleato al Senato e nella migliore delle ipotesi sarebbe stato estromesso dalla lotta politica; nella peggiore, dall'elenco dei vivi.

Libro primo

La guerra civile esplode quando Cesare il 1º gennaio 49 a.C., inviate lettere al Senato e viste respinte le sue proposte per comporre pacificamente le divergenze politiche con il Senato stesso e con Pompeo, decide di marciare su Roma. Il 10 gennaio, forse pronunciando davvero la famosa frase Alea iacta est (ma Svetonio riporta "Iacta alea est" cfr. Svet. De vita Cesarum, I, 32), passa il Rubicone, confine fra l'Italia e la Gallia Cisalpina che non poteva essere attraversato da un esercito in armi. Cesare viene quindi dichiarato nemico di Roma e Pompeo, autorizzato dal Senato effettua la coscrizione di un esercito. Cesare con due sole legioni avanza fino ad Ascoli Piceno dove attrae le coorti di Publio Cornelio Lentulo Spintere e poi si sposta ad assediare Corfinio, città difesa da Vibullio Rufo che riesce a raccogliere tredici coorti e da Lucio Domizio Enobarbo che comandava altre venti coorti. Domizio chiede l'aiuto di Pompeo fermo a Lucera. Pompeo compie l'errore di non intervenire, anzi, di spostarsi a Brindisi. Nel frattempo a Cesare arrivano ventidue coorti dell'Ottava Legione e trecento cavalieri inviati dal re del Norico. Domizio tenta la fuga ma viene catturato assieme ad altri comandanti di Pompeo. Cesare, prende con sé gli uomini e, mostrando clemenza, lascia andare i capi. Sette giorni dopo essere arrivato a Corfinio è già in Puglia, ha raccolto sei legioni, tre di veterani e tre completate durante la marcia, ormai è a contatto con Pompeo e tenta di chiudere la flotta senatoriale nel porto di Brindisi. Presi dal panico, nonostante avessero la possibilità di gestire discrete forze armate, Pompeo e buona parte dei senatori si rifugiano oltre l'Adriatico, a Durazzo. Cesare, fermato dalla mancanza di navi, invia parte delle sue forze in Sardegna e in Sicilia dove le popolazioni insorgono contro il Senato e accolgono i cesariani. Cesare stesso rientra a Roma, convoca il Senato (i senatori rimasti ma non per questo tutti a lui favorevoli). In questi trentadue capitoli Cesare più volte ricorda di aver intrapreso questa avventura perché forzato dagli avversari politici. Già nella contio ad milites (che Cesare situa a Ravenna mentre Svetonio la sposta a Rimini) Cesare lamenta che gli avversari non hanno accettato le sue pacate proposte. Cesare ribadisce il suo punto di vista: di essersi mantenuto nella legalità fino a quando non è stato costretto all'uso della forza dall'illegalità degli avversari. Si atteggia a ricercatore di pace, nelle frequenti ricerche di abboccamenti con Pompeo, ricorda che si è sempre comportato con grande misericordia nei confronti degli avversari (che non sono "nemici"). Questo, dopo le liste di proscrizione e le grandi "purghe" di Mario e Silla, vorrebbe essere la rassicurazione della classe dirigente romana che con lui poteva sperare un rientro nella normalità, nella tranquillità. Non riuscendo a bloccare la fuga del Senato, Cesare si sposta in Provenza. Marsiglia, città alleata ma non ancora compresa nell'imperium romano, e che aveva ricevuto grandi benefici sia da Pompeo che da Cesare, sotto la spinta politica di Domizio che vi era giunto dopo essere stato rilasciato da Cesare a Corfinio, si schiera con Pompeo. Cesare ne è sdegnato, ordina la costruzione di trenta navi ad Arelate, nell'interno, e lascia tre legioni al comando di Decimo Bruto e Gaio Trebonio (che vedremo poi entrambi colpire, alle Idi di marzo) per portare avanti un assedio difficile. Marsiglia era protetta dal mare su tre lati e il quarto era difeso da solide mura. In trenta giorni le navi sono pronte e il porto di Marsiglia viene chiuso ai traffici e Cesare lascia i legati diretto in Spagna preceduto da Gaio Fabio che apre i passi dei Pirenei. In Spagna tre sono i legati di Pompeo: Lucio Afranio, Marco Petreio il vincitore di Catilina e Marco Terenzio Varrone Reatino. I tre legati potevano contare complessivamente su sette legioni, grandi risorse economiche e sul carisma di Pompeo che in quelle province aveva ben operato e le aveva pacificate dopo la rivolta di Sertorio. Dal capitolo 51 all'87 Cesare narra tutto il susseguirsi di scontri, inseguimenti, piccoli assedi ai campi avversari, astuzie e debolezze dei vari comandanti, la battaglia di Ilerda, il tentativo di spostamento dei pompeiani verso Tarragona, il blocco di Cesare, il tentativo di ritorno a Ilerda, la resa di Afranio e Petreio. Ancora una volta Cesare ribadisce la sua pietas, il desiderio di risparmiare i suoi ma anche gli adversarios perché tutti sono cives, concittadini. E sottolinea come mentre Petreio, dopo che i suoi soldati hanno una prima fraternizzazione con i cesariani, ne approfitta per farli uccidere a tradimento, egli "restituisca" i soldati pompeiani presi nel suo campo senza danno alcuno e arrivi a conferire gradi a centurioni passati nel suo campo. Con la battaglia di Ilerda, Cesare si sbarazza del pericolo pompeiano in Spagna e addirittura congeda quelli dell'esercito di Pompeo che volevano smettere di guerreggiare. Chi abitava o aveva possedimenti in Spagna poteva rimanervi, gli altri, a scelta, sarebbero stati arruolati fra i cesariani o congedati una volta raggiunto il fiume Varo.

Libro secondo

Il Commentarius Secundus inizia parlando ancora dell'assedio di Marsiglia che i due legati Decimo Bruto e Gaio Trebonio stanno conducendo da mesi. Le macchine da guerra, le torri, le vinee, i cunicoli, l'attacco delle navi di Lucio Domizio, la battaglia navale fuori del porto; Cesare offre grandi quantità di nozioni belliche. E anche il tradimento dei marsigliesi (qui definiti hostes, nemici, non adversarios) che approfittano di una tregua per distruggere il campo cesariano. Però Cesare, in quel momento è ancora in Spagna e sta avanzando verso Cordova e poi Cadice contro Varrone che teneva le legioni di rinforzo nella parte occidentale della Penisola e stava attivamente operando per rifornirsi di uomini, vettovaglie e finanziamenti. Abbandonato da una delle sue due legioni (la Vernacula), Varrone evita di combattere, consegna la legione ribelle a Giulio Cesare e poi conferisce a Cesare stesso denaro, navi e grano. Cesare torna a Tarragona via mare e poi marcia fino a Marsiglia. La città finalmente cede. Lucio Domizio fugge, Cesare lascia due legioni a presidio e ritorna a Roma dove, nel frattempo era stato nominato dittatore dal pretore Marco Emilio Lepido. La seconda parte del libro è destinata a informarci sulla sfortunata campagna condotta da Gaio Scribonio Curione nella provincia d'Africa. Inviato a Utica per portare la guerra ai pompeiani, il legato di Cesare perde tempo e forze in una dissennata campagna che termina bruscamente con la battaglia del Bagradas, dove trova la morte, duramente sconfitto da re Giuba I contro cui, ironia della sorte, si era tanto politicamente accanito in tempi precedenti.

Libro terzo

I primi due Commentari narrano i fatti del 49 a.C.; il terzo quelli del 48 a.C. Cesare comincia a rimettere amministrativamente in ordine Roma, occupandosi dei problemi di chi era debitore (e dei relativi creditori), della situazione elettorale creata dalla legge di Pompeo (Lex Pompeia de ambitu che istituiva un tribunale speciale per i brogli dal 70 a.C. in poi). Infine, chiuso in qualche modo il fronte occidentale, Cesare lascia in mani pompeiane l'Africa e passa l'Adriatico portando l'assedio alle forze di Pompeo acquartierate a Durazzo. Prima, però, ci viene fatto l'elenco, impressionante, dei rinforzi in termini di uomini e vettovaglie che Pompeo è riuscito a raccogliere in quell'anno (il 48) di preparativi. Marco Calpurnio Bibulo da Corcira gestisce le flotte pompeiane che controllano la costa dell'Epiro ma Cesare, con sette legioni, riesce a sbarcare a Paleste e da lì sale verso Orico. Pompeo che si trova in Macedonia si affretta per bloccarlo prima di Apollonia ma viene preceduto. I due eserciti si incontrano sulle due sponde del fiume Apso fra Apollonia e Durazzo. I mesi successivi mostrano quasi una guerra di trincea con i due eserciti che tentano di circondarsi vicendevolmente con torri e fortificazioni. Marco Antonio si unisce a Cesare con altri rinforzi. Pompeo, più forte militarmente ma a corto di vettovaglie, riesce a forzare il blocco e cerca di riconquistare ad Apollonia. Ancora una volta viene preceduto da Cesare che però quasi subito lascia Apollonia e si dirige verso la Tessaglia per unirsi alle truppe che gli sta portando Domizio. Pompeo lo segue; in pratica lo precede perché può percorrere la romana Via Egnatia, più veloce delle piste fra i monti del Pindo che Cesare deve utilizzare. Nel tragitto, Cesare espugna Gonfi e riceve la resa di Metropoli e, il 29 luglio del 48 a.C. arriva sulla piana di Farsalo. Due giorni dopo vi giunge Pompeo che ha ricevuto anche le truppe di Scipione. Dopo varie finte e piccoli spostamenti in cui probabilmente Pompeo tentata di risparmiare le forze senatorie con un'azione di logoramento, il 9 agosto i due eserciti si scontrano. La descrizione della battaglia occupa i capitoli dall'88 al 94 e arriva al 99 con il racconto dei postumi più importanti: la morte del pompeiano Lucio Domizio e del centurione di Cesare, Gaio Crastino. Pompeo fugge prima a Larissa, poi ad Anfipoli, Mitilene, poi Antiochia gli chiude le porte, Rodi non lo accetta "Iamque de Caesaris adventu fama ad civitates perferebatur"; (è già arrivata alle città la fama dell'arrivo di Cesare. III, CII). Pompeo si rifugia a Pelusio, in Egitto ma la sua sorte è segnata. Potino il massimo consigliere del re Tolomeo lo fa uccidere da Achilla scortato, per non far destare dubbi, dal tribuno Lucio Settimio (ex centurione di Pompeo contro i pirati nel 67 a.C.). Il 28 settembre del 48 a.C., alla vigilia del suo cinquantottesimo compleanno, Pompeo muore. Gli ultimi capitoli sono dedicati alle mosse di Cesare ad Alessandria, alla corte del re traditore (che diventeranno le prime avvisaglie del Bello Alexandrino) e le ultime parole di questa grande opera sono dedicate alla vendetta romana sul traditore Potino: "'est interfectus'": "fu fatto uccidere". Termina il De bello civili.

Paragoni

Il paragone con gli altri grandi Commentarii di Cesare, primo l'arcinoto De bello Gallico viene spontaneo; (mutatis mutandis: stesso autore, stessa maturità stilistica e letteraria, stesso titolo, stesso tema (guerra). Inoltre la distanza temporale fra la stesura delle due opere è di pochi anni (il De bello Gallico è stato scritto nel 51 a.C.), quando la cultura e le capacità di scrittore di Cesare si erano già formate e delineate. Il De bello civili si apre con una frase tanto lapidaria da far pensare che l'inizio del libro sia mutilo. È possibile, ma lo stile di Cesare secco e conciso, ci offre lo spunto per ritenere la supposizione inesatta. C'è tutta la necessità di Cesare di riportare i fatti (i fatti come lui li vede, naturalmente) senza fronde o tergiversazioni. Lo stesso si può dire delle frasi finali. Anche il finale fa apparire l'opera incompiuta. Ma un'analisi più attenta rimette in campo lo stile lapidario del grande Romano. G. Ferrara, nell'Introduzione all'edizione BUR citata, vede nell'esecuzione di Potino un Cesare che vendica Pompeo, il sacrificio agli dèi Mani dell'avversario sconfitto. Possiamo aggiungere che, soprattutto per Cesare, nessun Romano poteva essere giustiziato senza processo, e Roma, (Cesare) non poteva permettere che uno straniero, anche se primo ministro Egiziano, trucidasse un altro Romano. Il De bello civili "deve", quindi, terminare non con la sconfitta di un Romano da parte di un altro Romano ma con la riproposizione di Roma come caput mundi. La guerra civile, più terribile in quanto combattuta fra concittadini, deve essere purificata, la morte di Potino fa "dimenticare" il terribile scontro, quasi un tragico happy ending in cui Roma, cui viene restituita la dignitas, torna quella culla delle leggi che era stata. Allora la guerra civile è davvero finita.

Cap. I, 1[modifica]

I fatti narrati nel Bellum civile partono dal I gennaio del 49 a.C., quando sono consoli appena entrati in carica L. Cornelio Lentulo Cruce e C. Claudio Marcello. Le vicende che precedono tale data sono dallo scrittore qui sottaciute e pertanto bisogna in parte ricostruirle da altra fonte e in parte da ciò che lo storico dice più avanti. Cesare aveva deciso di presentarsi come candidato al consolato per il 48 a.C. ed in base ad una legge, fatta approvare da Pomepo, lo poteva fare solo se si presentava a Roma senza il suo esercito, come privato cittadino. Egli sapeva che nell'Urbe si era creato un clima di ostilità e di invidia nei suoi confronti e pertanto temeva che, se si fosse attenuato alle richieste del senato, sarebbe stato ben presto in balia di Pompeo, che invece aveva ben due legioni di stanza in Italia. Inviò, perciò, una lettera al senato in cui proponeva in pratica il licenziamento delle proprie legioni a patto che pure Pompeo facesse lo stesso. La proposta di Cesare, consegnata da Curione, giunse a Roma alla fine del 50 a.C. e venne letta nella seduata del I gennaio del 49 a.C.

Testo in Latino[modifica]

1. Litteris C. Caesaris consulibus redditis aegre ab his impetratum est summa tribunorum plebis contentione, ut in senatu recitarentur; ut vero ex litteris ad senatum referretur, impetrari non potuit. 2. Referunt consules de re publica [in civitate]. [Incitat] L. Lentulus consul senatu rei publicae se non defuturum pollicetur, si audacter ac fortiter sententias dicere velint; 3. sin Caesarem respiciant atque eius gratiam sequantur, ut superioribus fecerint temporibus, se sibi consilium capturum neque senatus auctoritati obtemperaturum: habere se quoque ad Caesaris gratiam atque amicitiam receptum. 4. In eandem sententiam loquitur Scipio: Pompeio esse in animo rei publicae non deesse, si senatus sequatur; si cunctetur atque agat lenius, nequiquam eius auxilium, si postea velit, senatum imploraturum.

Traduzione in Italiano[modifica]

1. Dopo che la lettera di Cesare fu consegnata ai consoli, si ottenne con difficoltà, nonostante la forte insistenza dei tribuni della plebe, che essa fosse letta in senato; non si poté invece ottenere che se ne discutesse ufficialmente. 2. I consoli presentano una relazione sulla situazione dello stato. Il console L. Lentulo aizza il senato; promette di non fare mancare il suo sostegno allo stato, se i senatori vorranno esprimere il loro parere con coraggio e forza; 3. ma se essi hanno riguardo per Cesare e ricercano il suo favore, come hanno fatto nei tempi passati, egli prenderà posizione nel proprio interesse senza sottostare all'autorità del senato; del resto anch'egli ha modo di trovare rifugio nel favore e nell'amicizia di Cesare. 4. Con il medesimo tono si esprime Scipione: è intenzione di Pompeo difendere lo stato, se il senato lo asseconda; ma se il senato esita o agisce con troppa mollezza, invano implorerà il suo aiuto, se in seguito lo vorrà.

Analisi del Testo[modifica]

1.

Summa... contentione: Sono M. Antonio e Q. Cassio Longino. I tribuni erano la massima espressione della democraziza romana, in quanto essi, in nome del popolo, potevano porre il veto ad ogni decisione del senato.

Ut... referretur: Dipende da impetrari non potuit. Cio' che i tribuni ottennero fu solo che la lettera fosse letta non discussa.

2.

Referunt: Anche qui vale "discutono".

Senatui... pollicetur: Se non defuturum è sott. esse. L'oggettiva costituisce l'apodosi del periodo ipotetivo dipendent, la protasi è si... velint.

Si... velint: Il soggetto è ricavabile a senso da senatui. Il congiuntivo si spiega perché la protasi fa parte di un periodo ipotetico dipendente.

3.

Se... obtemperatur: Sott. esse. L'oggettive dipendono sempre da pollicetur.

Habere... receptum: Continua il discorso indiretto e perciò va sottinteso un verbum dicendi. La figura di Letulo è ambigua ponendosi prima come garante della libertà del senato e poi libero di prendere decisioni per proprio conto ed infine come possibile amico di Cesare. Lo storico ha voluto far risaltare tale ambiguità non solo per contrapporla alla schiettezza e chiarenzza della propria posizione, ma anche per connotare il clima di incertezza e confusione che regnava a Roma.

4.

Scipio: Cecilio Metello Pio Scipione, discendente dalle famiglie dei Metelli e degli Scipioni e suocero di Pompeo.

Agat: Sott. se.

Nequiquam... imploraturum: "Inutilmente il senato, se dopo lo vorrà, implorerà il suo aiuto". Da notare come Cesare sottolinei i tentativi di minaccia psicologica fatti dai suoi nemici per indurre il senato a prendere una decisione a loro favorevole.

Cap. I, 2[modifica]

Pompeo e i suoi seguaci tengono Roma sotto pressione. La maggioranza teme le legioni di Pompeo accampate alle porte della città e perciò si vede costretta ad approvare le richieste di Scipione di imporre a Cesare l'abbandono dell'esercito. I soli ad opporsi soni i tribuni della pleve, ma con quali conseguenze lo storico lo dirà nel capitolo seguente.

Testo in Latino[modifica]

1. Haec Scipionis oratio, quod senatus in urbe habebatur Pompeiusque aberat, ex ipsius ore Pompei mitti videbatur. 2. Dixerat aliquis leniorem sententiam, ut primo M. Marcellus, ingressus in eam orationem, non oportere ante de ea re ad senatum referri, quam dilectus tota Italia habiti et exercitus conscripti essent, quo praesidio tuto et libere senatus, quae vellet, decernere auderet; 3. ut M. Calidius, qui censebat, ut Pompeius in suas provincias proficieceretur, ne qua esset armorum causa: timere Caesarem ereptis ab eo duabus legionibus, ne ad eius periculum reservare et retinere eas ad urbem Pompeius videretur; 4. ut M. Rufus, qui sententiam Calidii paucis fere mutatis rebus sequebatur. Hi omnes convicio L. Lentuli consulis correpti exagitabantur. Lentulus sententiam Calidii pronuntiaturum se omnina negavit. Marcellus perterritus conviciis a sua sententia discessit. 5. Sic vocibus consulis, terrore praesentis exercitus, minis amicorum Pompei plerique compulsi inviti et coacti Scipionis sententiam sequuntur: uti ante certam diem Caesar exercitum dimittat; si non faciat, eum adversus rem publicam facturum videri. 6. Intercedit M. Antonius, Q. Cassius, tribuni plebis. Refertur confestim de intersessione tribunorum. Dicuntur sententiae graves; ut quisque acerbissime crudelissimeque dixit, ita quam maxime ab inimicis Caesaris collaudatur.

Traduzione in Italiano[modifica]

1. Questo discorso di Scipione, poiché la seduta del senato si teneva in città e Pompeo era vicino, sembrava uscire dalle labbra dello stesso Pompeo. 2. Qualcuno aveva espresso un parere più moderato, come in un primo tempo M. Marcello che, presa la parola in quell'intervento, sostenne che non era il caso di discutere della cosa in senato prima che si facessero in tutta Italia leve e si arruolassero eserciti, sotto la cui protezione il senato avrebbe osato decretare con sicurezza e liberamente il proprio volere; 3. come M. Calidio, che proponeva che Pompeo tornasse nelle sue province, perché non vi fosse motivo di ricorso alle armi; Cesare temeva, egli diceva, che, essendogli state sottratte due legioni, Pompeo le trattenesse presso la città, tenendole di riserva con intenzioni ostili nei suoi confronti; 4. come M. Rufo, che faceva suo il parere di Calidio, addirittura mutandone solo poche parole. Tutti costoro, travolti dalla clamorosa protesta del console L. Lentulo, erano oggetto di violenti attacchi. Lentulo dichiarò di non avere assolutamente intenzione di mettere in votazione la mozione di Calidio; Marcello, atterrito dalle clamorose proteste, ritirò la sua. 5. Così la maggior parte dei senatori, trascinata dalle grida del console, dalla paura che suscitava la vicinanza dell'esercito, dalle minacce degli amici di Pompeo, pur controvoglia e per costrizione, approva la proposta di Scipione: che Cesare, prima di un dato giorno, smobiliti l'esercito; se non lo fa, risulti chiaro che egli ha intenzione di agire contro lo stato. 6. Fanno opposizione i tribuni della plebe, M. Antonio e Q. Cassio. Subito si pone in discussione il veto dei tribuni. Vengono espressi pareri pesanti; quanto più ciascuno parla con arroganza e durezza, tanto più è colmato di lodi dagli avversari di Cesare.

Analisi del Testo[modifica]

1.

Senatus: Il termine senatus, come il nostro "consiglio", è riferibile sia all'orano istituzionale formato dai vari membri sia l'atto di riunione, la seduta. Qui è da prendere la seconda accezione: "la seduta del senato".

Aderat: Per legge chi era investito del comando non poteva essere presente alle riunioni, quando queste venivano fatte in città.

2.

Lenione: "Più moderata" di quella di Scipione.

Ut: Modale "come".

M. Macellus: Cugino del console Claudio Marcello.

Dilectus... habiti: Sott. esse.

Quo praesidio... auderet: Relativa con valore finale.

3.

Ut M. Calidius: Ut ha valore modale. Dopo Marcello anche Calidio, fervente seguace di Cesare, fa una proposta moderata.

Ne qua... causa: "Affinché non vi fosse alcun motivo di prendere le armi"; qua = aliqua.

Ereptis... legionibus: "Toltegli due legioni". La prima gli era stata prestata da Pompeo nel 53 ed alla fine della guerra in Gallia fu costretto a restituirla; la seconda dovette cederla per la guerra contro i Parti.

4.

M. Rufus: Un altro cesariano; è lo stesso che fu difeso da Cicerone nel Pro Coelio.

Hi omnes: Marcello, Calidio e Rufo.

Exagibantur: Exagito è frequentativo di exago.

Lentulus... negavit: Pronuntiaturum è sott. esse.

5.

Vocibus consulis: Dipende da compulsi.

Uti: È ut e introduce il contenuto della proposta di Scipione.

Si non... videri: È un periodo ipotetivo del discorso indiretto.

6.

Graves: Da qualcuno è stato inteso nel senso di "ostili" a Cesare; crediamo invece sia da interpretare nel senso di "gravi, pericolose" pe rle istituzioni repubblicane, per la democrazia. Infatti più oltre si dirà che viene tolto ai tribuni non solo il diritto di veto, ma perfino il diritto di immunità.

Ut... ita: "Quanto più aspramente e violentemente uno parlò, tanto più...".

Quam maxime: "Fortemente".